2012/03/15

11.03 Su come risulti evidente che ci sia un certo affollamento lì dentro…


Di tanti uomini che sono, che siamo
non posso trovare nessuno:
mi si pèrdono sotto il vestito,
sono andati in altre città.

Quando tutto è preparato
per mostrarmi intelligente,
lo sciocco che porto nascosto
prende la parola nella mia bocca.

(Pablo Neruda, 1958, Siam molti)

Anche se preso da solo, senza interrelazione con alcun altro individuo, ognuno di noi è creatore di senso, agente costruttore di una propria realtà, attraverso la moltitudine di opinioni (anche divergenti) che ognuno porta con sé, e quindi al tempo stesso univoco e molteplice generatore di senso. Ogni creatore di senso è “un parlamento di sé” (Mead); le diverse voci e i differenti punti di vista che si dibattono dentro ognuno di noi emergono continuamente alla nostra sfera consapevole come un dibattito parlamentare appunto, per contribuire a dare luogo a quella summa di riflessioni che determina il nostro “punto di vista”, la nostra costruzione di senso attorno alle cose, che accettiamo come nostra espressione di giudizio e –infine- come espressione di noi stessi nei confronti delle altrui posizioni. Le nostre opinioni espresse per così dire pubblicamente contribuiscono nel bene e nel male a personalizzarci, a dare un’idea di come siamo fatti, di come la pensiamo, e a renderci individuabili come persone, come detentori di un “portato” intellettuale che ci caratterizza inequivocabilmente. Ma quando mi accingo a prendere posizione su un determinato evento che mi si pone davanti non sono mai solo, nemmeno quando sono fisicamente da solo. La mia coscienza, per così dire, si “pluralizza”: come se ci fossero diversi omini dentro di essa che interagiscono, che prendono tra le mani l’evento e cominciano a esaminarlo, a soppesarlo, a rivoltarlo in lungo e in largo, traendo singoli giudizi e promuovendoli “di gruppo” e rivedendoli istantaneamente, fino ad arrivare ad una sorta di riepilogo, un concentrato di giudizio, pregiudizio, riflessione, opinioni altrui, che certifico essere il mio punto di vista “ufficiale”. E il procedimento non finisce qui: prosegue con attribuzioni di senso a posteriori, che vanno a costruire le fortificazioni a difesa di quella che è stata promossa a posizione ufficiale, per rafforzarla in me stesso e renderla sempre meno attaccabile anche dai giudizi altrui. E’ chiaro che questa pluralità di voci, che si attiva istantaneamente e in automatico ogniqualvolta i nostri sensi ci portano a dover prendere una posizione riguardo a qualcosa, resta in equilibrio e contribuisce anzi alla maturazione della nostra poliedrica personalità e del nostro carattere fino a quando non subentrano dei fattori per così dire destabilizzanti che per vari motivi sbilanciano il processo con cui si arriva ad una posizione ufficiale (disturbi della personalità). La parola chiave in questo caso è EQUILIBRIO: occorre dare voce a tutte le istanze, ma nello stesso tempo non essere sopraffatti dall’incapacità di prendere una posizione finale, che deve pur sempre essere il frutto di un percorso di riflessione arricchito il più possibile dalle informazioni necessarie per decidere e dalla CULTURA per poterle processare (in ogni caso, i nostri parlamenti ce lo dimostrano bene, c’è sempre la possibilità di un rinvìo…).

©emmi
(segue)

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