2012/03/15

12.01 La ricerca della felicità


Ci sembra fuorviante il concetto stesso di ricerca della felicità.  Se alla parola “ricerca” viene associato -come peraltro dettato dal comune utilizzo di tale vocabolo- il significato di “un'indagine sistematica per accertare i fatti o principi o per raccogliere informazioni su un argomento” (Wikipedia), si percepisce subito e istintivamente come non sia attraverso un tragitto razionale e organizzato che si possa trovare risposta a un obiettivo dichiaratamente irrazionale e individuale: la “felicità” entra a far parte della nostra psiche per vie che non vengono scoperte e battute da “indagini sistematiche”.  

Condizione -senza la quale non è data una discussione in questi termini- sta nell’accettare una certa aura metafisica sull’argomento. Superare la base scientifica di verifica-misurazione dello status fisiologico del corpo attraverso il monitoraggio del maggiore o minore accumulo e rilascio sinaptico di neurotrasmettitori adrenalinici come dopamine e serotonine attraverso varie zone del nostro cervello come amigdala, ipotalamo e gangli frontali… tutto rigorosamente misurato, tutto scientificamente provato negli ultimi anni grazie ai progressi eccezionali della tecnica, ma resta difficile nonché poco credibile accettare che la nostra felicità sia effetto esclusivo di reazioni chimiche a catena. La scienza con le sue misurazioni ci aiuta a spiegare il come, ma la complessità di quel che succede intorno e dentro questa scatola che abbiamo in cima al collo rende molto difficile spiegare il perché ci emozioniamo, e perché manteniamo il ricordo dentro di noi di talune emozioni provate (e di altre invece no).

Come tutti ben sanno, la felicità non ha una stretta relazione causa-effetto con argomenti esclusivamente razionali quali ad esempio il possesso di beni materiali o comunque con l’esercizio di una qualche circoscritta e presunta sovranità sulle cose o –peggio ancora- sulle persone.  Non è che –per il solo fatto di essere ricco o famoso o potente, o anche tutte e tre le cose- un individuo si possa definire -felice.

Difficile poi argomentare sui possibili fattori comuni, per una generale condivisione del concetto di felicità: anche se si possono identificare dei comuni denominatori ricorrenti, alla fine ognuno ha la sua visione e attribuisce diverso peso ai vari fattori, trattandosi di argomento intrinsecamente correlato alla sfera emotiva individuale.   Andare “alla ricerca della felicità” è, per usare una semplice metafora, come andare a caccia della pentola d’oro alla base dell’arcobaleno: una favola, un posto che non si raggiunge mai perché -ed è la tesi che qui sosteniamo- la felicità non è un luogo ipotetico cui si possa accedere possedendo le giuste coordinate, per cui la ricerca del luogo si risolverebbe nella spasmodica ricerca delle giuste strade da percorrere. Non c’è una strada più giusta o più sbagliata delle altre per raggiungere la felicità, ma c’è LA Strada, il percorso di ognuno di noi: la nostra vita e il significato profondo che noi per primi vogliamo attribuire alle metaforiche strade che percorreremo, alle emozioni che proveremo.
In altre parole, non ci sembra corretto calare sistemi razionali di strutturazione dell’agire con lo scopo di ottenere risultati, se l’obiettivo del nostro agire ha un costrutto talmente individualistico e irrazionale da sfuggire ad ogni possibile classificazione scientifica come il “raggiungimento della felicità”:  non è che facendo un certo percorso si raggiunge la felicità e facendone un altro no, perché non esistono coordinate predeterminate ed invece esiste un limite alla nostra individuale capacità di determinazione (cioè alla capacità di indirizzare gli avvenimenti in una certa direzione).

La felicità è un concetto molto complesso, è un composto di differenti provenienze. Può in parte essere figlia anche di avvenimenti organizzati e pianificati razionalmente: pensiamo ad esempio alle grandi performances nello sport, che sono frutto anche di sacrifici personali a volte pesantissimi, ma non sufficienti da soli a garantire l’arrivo della felicità. Più spesso, la felicità arriva da avvenimenti semplici, quasi sempre imperscrutabili da chiunque altro, generalmente –ma non sempre- legati alla cerchia relazionale costituita dalle persone, dai posti e dalle cose che amiamo frequentare (ad esempio un sorriso o un ragionamento spiazzante per maturità di nostro figlio, una chiaccherata disinteressata con un amico, un rapporto sereno con i genitori, con le persone frequentate nel mondo del lavoro). Cosa possiamo fare per aumentare la possibilità di godere di questi momenti ?

Raccogliamo qua e là, con modi e tempi del tutto imprevedibili, brevi ma intensissimi quanto episodici momenti di gioia; spesso non facciamo proprio nulla perché arrivino eppure arrivano, né facciamo alcunchè per scolpirceli nella memoria ma quelli ci restano dentro, diventano parte del nostro vissuto.   Poi magari ci danniamo per ricreare le condizioni nelle quali si sono manifestati, senza peraltro raggiungere l’obiettivo: perché ?


Il punto centrale sta nel fatto che è nel percorso che, con il nostro atteggiamento e le nostre predisposizioni, costruiamo i prodromi di una possibile felicità, che spesso arriva non perché la cerchiamo razionalmente, ma piuttosto perché riusciamo a crearne l’humus ideale, le condizioni ottimali, sforzandoci in ogni momento di dare spazio alla migliore “release” di noi stessi (e sappiamo tutti come non sia per nulla facile).  Se affrontiamo il nostro percorso il più possibile con atteggiamento positivo, senza per questo cadere nel tranello dell’ingenuo ottimismo ad ogni costo, gettiamo le fondamenta di una vita più serena e costellata di molti momenti di felicità.
         In modo quasi irridente per il senso comune, spesso è proprio la ricerca in sé (della felicità) che può generare infelicità, soprattutto se gli obiettivi, l’atteggiamento o gli strumenti di ricerca sono sbagliati o male utilizzati: incaponirsi nel provare a tradurre in qualcosa di razionale e organizzato (cioè il raggiungimento di un obiettivo) qualcosa che invece resta in buona parte ancorato alla sfera irrazionale delle emozioni, oppure avvicinarci ad un determinato argomento con l’atteggiamento sbagliato o con un insufficiente livello di consapevolezza può caricarci di ansie di tutti i generi, prima fra tutte quella –perpetua !- di inseguire un obiettivo irraggiungibile, senza trovare mai piena soddisfazione in ciò che si è e in ciò che si fa mentre lo si fa.


Dobbiamo essere abili, durante il “percorso”, nel creare le condizioni ideali affinchè la felicità si manifesti: con il giusto timing,  con il giusto atteggiamento individuale e con adeguata consapevolezza così da generare le migliori prospettive di accadimento di momenti felici.

Carpe diem !

11.03 Su come risulti evidente che ci sia un certo affollamento lì dentro…


Di tanti uomini che sono, che siamo
non posso trovare nessuno:
mi si pèrdono sotto il vestito,
sono andati in altre città.

Quando tutto è preparato
per mostrarmi intelligente,
lo sciocco che porto nascosto
prende la parola nella mia bocca.

(Pablo Neruda, 1958, Siam molti)

Anche se preso da solo, senza interrelazione con alcun altro individuo, ognuno di noi è creatore di senso, agente costruttore di una propria realtà, attraverso la moltitudine di opinioni (anche divergenti) che ognuno porta con sé, e quindi al tempo stesso univoco e molteplice generatore di senso. Ogni creatore di senso è “un parlamento di sé” (Mead); le diverse voci e i differenti punti di vista che si dibattono dentro ognuno di noi emergono continuamente alla nostra sfera consapevole come un dibattito parlamentare appunto, per contribuire a dare luogo a quella summa di riflessioni che determina il nostro “punto di vista”, la nostra costruzione di senso attorno alle cose, che accettiamo come nostra espressione di giudizio e –infine- come espressione di noi stessi nei confronti delle altrui posizioni. Le nostre opinioni espresse per così dire pubblicamente contribuiscono nel bene e nel male a personalizzarci, a dare un’idea di come siamo fatti, di come la pensiamo, e a renderci individuabili come persone, come detentori di un “portato” intellettuale che ci caratterizza inequivocabilmente. Ma quando mi accingo a prendere posizione su un determinato evento che mi si pone davanti non sono mai solo, nemmeno quando sono fisicamente da solo. La mia coscienza, per così dire, si “pluralizza”: come se ci fossero diversi omini dentro di essa che interagiscono, che prendono tra le mani l’evento e cominciano a esaminarlo, a soppesarlo, a rivoltarlo in lungo e in largo, traendo singoli giudizi e promuovendoli “di gruppo” e rivedendoli istantaneamente, fino ad arrivare ad una sorta di riepilogo, un concentrato di giudizio, pregiudizio, riflessione, opinioni altrui, che certifico essere il mio punto di vista “ufficiale”. E il procedimento non finisce qui: prosegue con attribuzioni di senso a posteriori, che vanno a costruire le fortificazioni a difesa di quella che è stata promossa a posizione ufficiale, per rafforzarla in me stesso e renderla sempre meno attaccabile anche dai giudizi altrui. E’ chiaro che questa pluralità di voci, che si attiva istantaneamente e in automatico ogniqualvolta i nostri sensi ci portano a dover prendere una posizione riguardo a qualcosa, resta in equilibrio e contribuisce anzi alla maturazione della nostra poliedrica personalità e del nostro carattere fino a quando non subentrano dei fattori per così dire destabilizzanti che per vari motivi sbilanciano il processo con cui si arriva ad una posizione ufficiale (disturbi della personalità). La parola chiave in questo caso è EQUILIBRIO: occorre dare voce a tutte le istanze, ma nello stesso tempo non essere sopraffatti dall’incapacità di prendere una posizione finale, che deve pur sempre essere il frutto di un percorso di riflessione arricchito il più possibile dalle informazioni necessarie per decidere e dalla CULTURA per poterle processare (in ogni caso, i nostri parlamenti ce lo dimostrano bene, c’è sempre la possibilità di un rinvìo…).

©emmi
(segue)

11.02 Ma allora, che cos'è ‘sta realtà ?

(iceberg)

Cominciamo con un assaggino: spesso siamo portati a generalizzare, fidandoci in toto dei nostri sensi, della nostra sensibilità, assumendo che REALTA’ sia ciò che vediamo, che sentiamo, che tocchiamo. In sintesi la summa di ciò che ci arriva appunto dai sensi, dalle nostre percezioni fisiche. Ruolo fondamentale e primario è svolto chiaramente dall'organismo: vista, udito, olfatto, gusto, tatto, e come detto dagli organi che di queste sensazioni sono i portatori. Chi non sarebbe d’accordo ?
Se accettiamo come convenzione a mò di proposizione di ingresso una prima, basica definizione di realtà = ciò che sia scientificamente misurabile -anche se in seguito andremo via via a raffinarla (non abbiamo qui intenzione di dilungarci troppo, informazioni sull'argomento si trovano ovunque), ciò che qui preme sottolineare è come: 1) le suddette sensazioni primarie o di primo grado, sulle quali appoggiamo per natura gran parte del nostro approccio con il mondo, per quanto fondamento naturale di tutta la nostra visione dell'esterno, sono sempre oggetto di distorsioni di ogni tipo, sia da parte degli altri che di noi stessi; distorsioni se non altro dettate dal modo, dal punto e dal momento di osservazione, fattori questi che restano spesso personali e particolari; 2) a costruire la nostra realtà subentrano molteplici altre strutture già presenti e precostituite nella nostra mente, meno appariscenti e il cui modo di operare sulle nostre consapevolezze andremo ad approfondire, perchè anche -e aggiungeremmo soprattutto- queste strutture sono soggette a distorsioni di ogni tipo e livello; 3) L'inclusione di tali sovrastrutture per così dire "di secondo grado" alla realtà scientificamente misurabile risulta talmente soggettiva e personalizzante da generare una visione complessiva della medesima realtà anche molto differente, a parità di osservazione, per ognuno di noi. Per esempio, spesso tendiamo a sopravvalutare l'idea che ci siamo fatti di una cosa, rispetto all'idea che se ne sono fatta gli altri: questo conferma da una parte il naturale predominante egocentrismo della personalità umana, dall’altra l'esistenza di differenti punti di vista a parità di evento osservato. Di fatto, si può confermare che le nostre percezioni naturali sono indissolubilmente accompagnate da una serie istantanea, complementare e semi-automatica di catalogazioni e giudizi che contribuiscono alla valutazione complessiva dell'evento, anche se scientificamente di quest’ultimo non sono parte integrante. Ora possiamo riformulare la domanda iniziale, specificando: cosa significa veramente "percepire la REALTA' " ?
(lo stesso iceberg da un altro punto di vista...)

p.s. Se da una parte la scienza e la fisica in particolare ci vengono in aiuto nella determinazione di regole molto difficilmente controvertibili, esistono d’altra parte molteplici studi che mettono in discussione anche seriamente questa convenzione sociale nell’accezione della ‘realtà’. Chi intende inoltrarsi in questa intricata foresta di opinioni più o meno suffragate da esperimenti empirici, si prepari a investire mooolto del proprio tempo nonché a sopportare indicibili fatiche intellettuali nel tentativo di avvicinarsi alle scuole di pensiero secondo le quali non esiste per nulla ciò che chiamiamo realtà, aprendo con tale affermazione le porte ad un universo di pensiero per così dire ‘metafisico’ , i cui percorsi , risvolti e destinazioni sono ben lontani dall’essere definiti….. insomma tanti cari auguroni da parte nostra e casomai fateci sapere… !
©emmi (segue)



11.01 "Sire, non esiste una via regale"


"Sire, non esiste una via regale" disse Euclide, rivolgendosi al suo allievo Re Tolomeo che trovava le sue lezioni difficili e gli aveva chiesto se non ci fosse un modo più facile per imparare la geometria…

Nessuno ha detto che sia facile. Possiamo spegnere tutto in ogni momento e fregarcene bellamente, tornando alle nostre (pre)-occupazioni, oppure …“fare l’investimento”… Traduzione: di fatto, è diventata una normale aspettativa avere un ‘immediato ritorno dell’investimento’ su qualsiasi cosa noi ci si accinga a fare, se non altro per giustificare il tempo che andremo a dedicarvi. Questo contribuisce a generare ansia sull’effettivo risultato. Figurarsi se poi quest’ultimo non è all’attesa delle aspettative. In economia la cosa si risolve facilmente: basta metterci un bel manager di stampo zotico-vulgar-commerciale, per dare tutta l’enfasi possibile ai preventivi e sorvolare sui consuntivi, tanto mica sarà colpa nostra, se non va tutto come previsto ?!?! Alla fine c’è pur sempre vasta scelta nella letteratura di settore per individuare qualcuno cui possiamo scaricare il peso di tutte le colpe: il capo testa di cazzo, i colleghi incompetenti, i sottoposti deficienti, il coniuge che non capisce, i figli schizzati, gli amici voltafaccia, i politici corrotti, gli altri in generale, insomma tutto il genere umano nella sua universale, becera totalità. Ah scusate, non dimentichiamoci il Destino avverso… insomma chiunque arriva sempre alla stessa conclusione: càzzarola, ma si sono TUTTI rincoglioniti ??? (tranne NOI ovviamente che non siamo MAI in discussione) O forse sarebbe meglio che cominciassimo proprio NOI, a darci una bella ripassata ????
A parziale smentita e a conferma che non esistono poi così tanti dogmi e Verità Supreme, si potrebbe dire che c’è un sacco di gente che vive benissimo con sé stessa pur comportandosi da emerita testa di cazzo, senza rispetto né per sé né tantomeno per gli altri… sì è vero, e ognuno di noi può rendersene conto ogni giorno, ma ciò non sposta neanche di un millimetro il fatto che in generale ci si senta meglio quando si è fatto qualcosa di percepibile come dignitoso in primis da noi stessi. Se c’è una cosa difficile che si impara, con tanta fatica, nell’esercitare il proprio mestiere, è che è necessario fare il possibile per dare ogni giorno l’esempio con il proprio AGIRE, conseguenza del proprio pensare: potrà essere anche difficile e poco pagante nei confronti dell’intero mondo, bieco e irriconoscente; e a parlare poi sono bravi tutti. Ma il FARE almeno serve a noi stessi, per continuare a stimarci come individui. E non è vero che abbia poco o alcun effetto sulla realtà, come tutto vorrebbe portarci a pensare.
Sarebbe tutto un po’ più facile se ci fermassimo anche solo un momento a riflettere sulla frenesia del quotidiano che ci attanaglia e ci rende sempre più schiavi di tempistiche e scadenze spesso non personali, ma dettate dalle organizzazioni cui apparteniamo. Attenzione, in questa accezione anche una famiglia è un’organizzazione, così come un gruppo di lavoro, la squadra di calcetto, la società tutta. Si cominci allora a porre almeno per un istante in secondo piano la necessità che tutte le cose che affrontiamo debbano sempre, forzatamente, avere un immediato riscontro in termini economici, di efficienza o di utilità. Può accadere che un risultato di una qualsiasi azione debba essere valutato su un termine un po’ più lungo, magari proprio perché si va ad operare su uno strato di coscienza non superficiale… chiaro, siamo ben svegli e consapevoli che sul lungo termine siamo tutti morti, ma anche qui la chiave sta nella ricerca di un equilibrio sostenibile. La ricerca di vivere in un equilibrio sostenibile non solo è un diritto inalienabile di ogni singolo, ma anche un dovere di ciascuno di noi. Quando si arriva in prossimità di un incrocio stradale, si frena: così i nostri diritti dovrebbero rallentare se entrano in rotta di collisione con i diritti altrui. E frenare diventa il nostro dovere. Non è che per aver frenato ci dobbiamo sentire degradati: sta a tutti noi adottare e rispettare delle regole di relazione condivise che permettano ad ognuno di esercitare i propri diritti nel rispetto di quelli degli altri (regoletta spesso dimenticata, anche ai semafori….) . Specialmente in azienda, non bisognerebbe mai dimenticarsi di ricordarsi le regolette di base, in particolare quando si è “vicini a un incrocio”…! Purtroppo la pazienza sembra una risorsa esaurita, ma le cose non sono quasi mai o bianche o nere. E anche il Padreterno ci ha messo una settimana per costruire l’Universo….. per cui, ognuno si dia il tempo che ritiene necessario. Non saper cogliere le sfumature, e la varietà d'interpretazione che ognuno può legittimamente dare agli eventi, può dimostrarsi un limite, un errore o comunque un’assenza di sensibilità che ha a sua volta ripercussioni sul reale. Ciò che stuzzica l’interesse è dato proprio dal fatto che sembrano esistere infinite realtà, frutto dell’interpretazione di ognuno di noi; così come indubbiamente esistono infiniti linguaggi per esprimere tali interpretazioni. Tutto ciò comporta un’immensa opportunità ma anche molta confusione: un insopprimibile ‘rumore di fondo’ generato dalla soggettività delle interpretazioni di quanto accade, che rende impossibile evitare di cadere nella diabolica tentazione di considerarsi –per esperienze personali pregresse, per anzianità, per semplicità di pensiero, per pigrizia- depositari della insindacabile Verità cui tutti gli altri prima o poi si dovrebbero adeguare. Non lo si ammette facilmente perché il nostro Ego (nessuno escluso) è tanto permaloso quanto presuntuoso; ma riconoscerlo è uno dei primi passi verso una più alta comprensione di Sé. I luoghi di aggregazione sociale, in primo luogo l’azienda e la famiglia, sono i territori maggiormente deputati all’esplicazione di tali distorsioni, se non altro perché ci passiamo la maggior parte del nostro tempo e quindi è più semplice passare da relazioni superficiali o epidermiche a relazioni più stabili e radicate, con tutto il background che questo comporta. Le differenze di interpretazione degli avvenimenti e i diversi modi di esposizione sono all’ordine del giorno. A volte generano deboli o impercettibili differenze di veduta, altre volte invece distorcono totalmente l’evento, consapevolmente o inconsapevolmente, suscitando di volta in volta ripercussioni sullo stato d’animo: gioia, sconforto, depressione, eccetera. Certamente le modalità di esposizione (il dove, il quando, ma soprattutto il come) hanno un fortissimo carico di significato, anche a parità di evento. L’ opportunità da non lasciarsi scappare sta nel fatto che possiamo fare qualcosa: studiare queste dinamiche con l’obiettivo di costruire una maggiore consapevolezza attorno a questi invisibili costruttori della nostra realtà.- ©emmi (segue)

10.03 Cui prodest ?

Come già premesso, siamo sempre in tempo a lustrarcene gli zebedei… ma quali sono le ‘chiavi’ per destare in noi il sacro fuoco dell’interesse ? Se uno non ha coraggio, non è che se lo può dare, diceva Don Abbondio (e circa 42.000 occorrenze sul motore di ricerca rappresentano una certa conferma). Per noi invece si tratta degli eterni motori della vita: Curiosità e Passione ! Curiosità e Passione che intendiamo investire cercando di comprendere ogni giorno un po’ di più su quanto ci sta attorno, e soprattutto su chi ci sta attorno, partendo però prima di ogni altra cosa da una maggiore comprensione di noi stessi e dei meccanismi razionali o irrazionali che guidano le nostre scelte. Come detto, con un atteggiamento di sano, egoistico interesse. Senza farci truffare dai significati abituali delle parole che adoperiamo. Siamo o no interessati a noi stessi ? Capire noi stessi significa nel contempo aprirsi alla comprensione degli altri. Vediamo scorrere le nostre vite sempre più in un contesto ‘situazionale’ dettato da criteri di immediata utilità, di riscontro “qui e adesso” . Non saremo certo noi –con strumenti intellettuali ‘finiti’- ad avere la presunzione di modificare tale situazione: conviene però imparare a conviverci un po’ meglio, magari provando nel frattempo a costruire -un passettino alla volta- uno stato di consapevolezza più elevata su quanto ci succede intorno, su come e quanto tutto questo produca degli effetti dentro di noi, e su cosa possiamo fare per cambiarlo (o perlomeno per modificarne la traiettoria), se la piega che hanno preso le cose non ci soddisfa. Sicuramente gioca un ruolo importante il fatto di confrontarsi quotidianamente con una serie di situazioni che in famiglia, nel sociale, in azienda sono spesso nascoste, sotterranee, ma di cui comunque si ha sensibilità, se ne percepisce la presenza e la profonda importanza. La consapevolezza dell’esistenza di un ‘non detto’ nelle nostre relazioni è già un bel risultato, e dovrebbe essere continuamente monitorato perché strutturale nell’esercizio di qualsiasi attività, in particolare agli inizi di un percorso professionale. Un edificio sta in piedi nel corso dei secoli anche perché –nella sua struttura- sono state studiate con cura certosina -e poi costruite correttamente- le fondamenta: sono invisibili ma tutti sanno che esistono e che tengono in piedi l’intero ambaradan. Forse dovrebbe essere così anche se consideriamo la nostra personalità: un edificio in perenne costruzione, con delle fondamenta invisibili che però sorreggono tutta la struttura. Invece la tendenza è di spostare la dinamica delle relazioni sociali e professionali verso un incontro sempre più utilitaristico, freddo e slegato. Dove chiunque, all’estremo del ragionamento, possa essere in grado di sostituire chiunque altro, senza alcun riguardo per l’edificio di relazioni umane che sta alla base di qualsiasi rapporto. ‘Ghe vòl ‘massa fadìga, ‘massa tempo (troppo impegnativo insomma). Contatti sempre più epidermici, fondati su relazioni deboli o superficiali, con l’unica certezza di dissolversi alla prima manifestazione di un problema più serio. Il lavoro di squadra e tutte le altre belle quanto teoriche pensate che ci vengono proposte quali esempio di eccellenza organizzativa, quando però sono calate dai sacri testi nella realtà di organizzazioni che soffrono, cioè quando siamo nella cacca ovvero quasi sempre e/o quando ne abbiamo più necessità, sono sempre le prime ad essere poste sotto osservazione, le prime a traballare nei giudizi dei singoli e quasi sempre le prime ad andare in frantumi, perché l’unica cosa che conta in quei (questi) momenti ritorna ad essere quella basica per tutti ovvero:
1) per le organizzazioni, come minimo far rientrare le spese sotto i ricavi per garantirsi la sopravvivenza; e
2) per i singoli, si salvi chi può (magari diventando maestri nell’arte di schivare gli schizzi della sostanza organica di cui sopra…).
Partendo dalla soggettiva percezione della realtà e dalla sensibilità con cui la interpretiamo, tutti noi abbiamo costruito più o meno consapevolmente il nostro castello intellettuale, ed è proprio quella costruzione e quel metodo che ancora oggi ci guida nelle nostre scelte. Il rischio, reale e diffuso, è quello di sopravvalutare la nostra visione della realtà e di sovrapporla non solo a quelle altrui ma anche alla realtà vera e propria, senza rendersene conto. In automatico. E creando così nuovi equivoci, nuove distorsioni. E’ dimostrato che ci muoviamo psichicamente dentro a un nostro mondo che ci ripetiamo continuamente essere razionale, logico e determinato, ma che in realtà è parecchio incasinato, confusionario e spesso sbarrato da una serie di confini che noi stessi ci siamo costruiti intorno. E, soprattutto, solo nostro. Barriere la cui presenza resta spesso invisibile, e allo stesso tempo assolutamente presente (a volte preponderante) nell’esercizio delle nostre opinioni. Confini la cui esistenza dobbiamo imparare a conoscere e comprendere, innanzitutto per ridurre l’opacità che alberga nelle nostre relazioni interpersonali, ma anche -e forse soprattutto- per contribuire ad allargare i nostri spazi mentali, renderli maggiormente disponibili all’accoglienza ed alla comprensione, per conoscere meglio noi stessi e gli altri. Per costruire ai nostri figli un minimo di ammortizzatori psicologici per quando toccherà a loro confrontarsi con la precarietà insita in ogni possibile visione di quella cosa che –per capirci- chiamiamo ‘realtà’, come se fosse un qualcosa di univoco e universalmente condiviso. ©emmi (segue)

10.02 Perle di saggezza popolare

xè inutie spiegarghe le robe al 'mus:
te perde temp e te infastidisse la bestia
(Traduzione per i non iniziati = è inutile spiegare le cose al mulo: perdi tempo e indispettisci l'animale). A titolo di premessa conviene chiarire subito come si sia convinti che –negli argomenti che andremo a trattare- nessuno è miglior maestro di sè stesso nella conoscenza della propria personalità e sensibilità. Quindi nessuna cattedra, nessun insegnamento, nessun giudizio, nessuna sentenza. Piuttosto orientamento, facilitazioni, dritte varie e road maps, divertimento (e a volte sorpresa) nella progressiva e infinita scoperta di sè e dell'altro da sè. Ovvio che approfondimenti in tal senso sono sconsigliabili ai 'mus e a tutti quelli che vorrebbero andare a spiegar loro come funziona il mondo (= astenersi perditempo, maestri di vita, intellettuali in continuo dialogo con Dio e maghiOronzi).
Potrebbe invece risultare utile armarsi di curiosità, passione, un bel po’ di ironia, e un pizzico di scetticismo… siamo consapevoli dei nostri umani limiti e orgogliosi del fatto che le nostre armi intellettuali possano essere considerate leggere, poichè della leggerezza intendiamo fare virtù.
A tal titolo, sapere che su tali argomenti è stato presentato recentemente –con tanto di incontro in libreria con i potenziali (?) milioni di lettori- un volume da casa editrice di respiro internazionale il cui sottotitolo recita testualmente "La conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente secondo l'insegnamento di Phalu il kashmiro", ci fa pensare –nell’assoluto rispetto di tutti e astenendoci da qualsiasi commento- che c’è veramente spazio per ognuno a ‘sto mondo (avranno pure fatto i loro conti… ) ©emmi (segue)

10.01 Pro-Logos

Perchè 'LUPUS IN FABRICA' ?!? Lo strafalcione in latinorum dalla nota citazione "lupus in fabula" è consapevole come avrete immaginato, e vorrebbe invitare a riflettere su ciò di cui qui si vorrebbe lasciare un indelebile (?!!?) segno per i posteri. Lo spunto nasce dall'osservazione di come l'Uomo, inteso nella sua totalità di genere, quando lo si osservi in quel determinato contesto intrinsecamente radicato nella vita di ognuno (la fabrica) tenda a riavvicinarsi e confermarsi nell'ancestrale, naturale status di animale, nel senso spregiativo di bestia, riattivando forse le connessioni neuronali al nucleo rettiliano (la parte più antica del nostro cervello) e spegnendo più o meno deliberatamente tutte le altre… Certo, la fabrica rappresenta un bacino particolarmente accogliente per dare spazio e sviluppo agli istinti belluini che risiedono in ognuno di noi. E con risvolti parecchio interessanti e passibili di riflessione per una più ampia conoscenza di noi stessi, di chi ci circonda e –soprattutto- di quali sono i motori più profondi che generano i nostri pensieri e le nostre azioni, in una consecutio non sempre coerente se osservata distrattamente o con sufficienza, come spesso capita in questi nostri anni, così caratterizzati dalla pressione di tutto su tutti e dalla quasi conseguente mancanza di tempo (e di voglia) di qualsiasi approfondimento. La traiettoria parossistica di quasi ogni cosa intorno a noi ci fa sentire costretti a (fingere di) cogliere il senso del tutto, subito e al volo; ci illudiamo poi di pensare che ciò sia veramente possibile, anche perchè se non lo si fa o non ci si riesce o semplicemente ci si rifiuta di accettare questo postulato, si rischia di passare per deficienti o disadattati.
Il risultato è che qualsiasi persona o cosa o avvenimento ci passi davanti agli occhi ha un tempo sempre più infinitesimale per essere valutata dalla nostra mente, per essere giudicata, catalogata e inserita nei nostri archivi di memoria. Risulta poi difficilissimo rivedere il proprio giudizio e ‘spostare’, per così dire, l’informazione acquisita da un archivio all’altro, perché ciò significherebbe ricredersi sulle proprie valutazioni iniziali e, in un certo modo, contraddire sé stessi ed il giudizio espresso nell’infinitesimo attimo iniziale (vedremo come il fatto di rimettere in discussione le proprie valutazioni è un procedimento che risulta parecchio difficile da affrontare per chiunque).

Homo homini lupus, insomma, dall'Asinaria di Plauto in poi. Quando appare improvvisamente tutti ammutoliscono, come nelle fiabe quando arriva il lupo cattivo... e sul posto di lavoro ? Lo sappiamo che spesso, a proposito di quel posto lì, e di quanto vi succede all'interno o nei paraggi, non c'è proprio nulla di scherzoso su cui fare divertissment. Il posto dove lavoriamo (ammesso che ancora esista !) riprende in piccolo il concetto dantesco dell' aiuola che ci fa tanto feroci: certo si potrà obiettare che la maggior parte delle situazioni in cui ci ritroviamo -obtorto collo- a recitare il nostro ruolo, in cambio di denaro necessario alla sopravvivenza nostra e delle nostre famiglie, non sembrano degne di essere menzionate oppure non valgono nemmeno il tempo di starsene qui a far comizi, visto che tempo da perdere non se ne ha, né noi né voi, per i motivi di cui sopra…... men che meno per parlarsi addosso e via cazzeggiando come avviene spesso nei blog.
E’ risaputo ma è sempre meglio ribadire che a lavorare e (allargando il concetto) nella vita sociale, nella migliore delle ipotesi si è un po’ come a teatro: ognuno si aspetta di interpretare un suo bel ruolo, e ognuno in cuor suo è convinto di essere almeno un buon interprete –se non ottimo- del ruolo assegnatogli (dalla volontà, o dal caso, o spesso da entrambi); ci si aspetta che esista un pubblico, che sia bendisposto nei nostri confronti, che paghi il biglietto per lo spettacolo, che stia in silenzio ad assistere alla straordinaria esibizione dello showman di turno, e poi applauda convinto e se ne esca in ordine fino alla prossima rappresentazione...
Si vuole qui approfondire la riflessione perchè risulta impossibile rimanere insensibili di fronte alla pervicace manifestazione quotidiana di stupidità dell'Uomo, particolarmente esaltata quando ha a che fare con il suo mestiere. Chi Crede dovrebbe farsi una ragione del fatto che, se l'Altissimo ha fatto l'Uomo a Sua immagine e somiglianza, non c'è da stare troppo tranquilli per lo sviluppo delle nostre faccende ultraterrene, a giudicare da come la gran maggioranza si è mossa finora da questa parte della barricata. A parte rarissime, illuminate eccezioni e -ovviamente- tutti i presenti...
La passione che ci sostiene e, speriamo, non ci abbandoni mai, è quella di esercitare il diritto all'abbattimento di ogni barriera mentale che ci separi da una maggiore consapevolezza di noi stessi e del mondo, utilizzando lo spazio web come una specie di palestra di autodifesa intellettuale. Questo, mantenendo la leggerezza e la lucidità necessarie per non scadere nella becera grevità dei casini che siamo costretti ad affrontare. Non ultimo, con il massimo della sintesi possibile per i motivi di cui sopra, ma difendendo l'ironia necessaria a fare della nostra vita lavorativa, che -di fatto- tanto spazio occupa nella nostra quotidianità, anche un luogo e uno spazio mentale frequentabile, dove poter crescere e in qualche modo anche divertirsi, trovando sempre spunti per cogliere i molteplici significati di quanto ci succede intorno, e constatare come quasi tutti -ancora una volta esclusi i presenti, che sono assolti da qualsiasi peccato di stupidità per il solo fatto di essere arrivati fin qui- si sia ben imbarcati sulla via del rincoglionimento precoce e totale (via, si scherza, ma non troppo...) !Cos'è dunque che ci aiuta a differenziarci dall’animale, e che concorre a costituire la Personalità che continuamente diventiamo ?
(really first question)
Riguardando nel nostro passato, proviamo a chiederci se c'è mai stato qualcuno a darci una "dritta" disinteressata sulla necessità di costruirci un percorso di consapevolezza, magari con ottimo timing e cioè quando si possedeva l'elasticità mentale per poterlo intraprendere, per capirne la pregnanza; e l’incoscienza (o la vera coscienza) per mettersi in discussione, per modulare istantaneamente la nostra conoscenza e consapevolezza, insomma per crescere ? E, ammesso che ci sia stato, abbiamo saputo coglierne l’opportunità oppure eravamo troppo giovani, troppo vecchi, troppo presi da altre emergenze, troppo distratti ?Buon Orientamento = poco o niente, anche qui tranne rare eccezioni. E oggi tutto pare più difficile, ed in progressivo peggioramento.... i neuroni e le loro connessioni se ne vanno.... parcheggiamo i nostri pensieri sempre sul solito piazzale... e via discorrendo. Tuttavia, convinti che il tempo per imparare qualcosa di utile e divertente non finisca mai, con un pizzico di ironia e con un pò di sano egoismo, ecco che qui corriamo in soccorso di noi stessi, e di tutti coloro che cercano un alibi qualunque per riavvicinarsi a sè, studiando e nel contempo contribuendo alla divulgazione delle basic strategies per costruire in autonomia un po’ di difese immunitarie alla stupidità imperante, attenti a non farci beffare dal senso comune delle parole. Non c'è nulla da insegnare, è tutto già scritto da qualcuno e da qualche parte, basta trovare un po’ di tempo ed il coraggio per addentrarsi nella giungla dei dati oggi ampiamente disponibili e scegliere, facendosi largo a colpi di machete per eliminare -non senza difficoltà- tutta la "fuffa mediatica" che ci assedia sotto le mentite spoglie di “informazione”.- Una domanda interessante per intraprendere il nostro viaggio iniziatico potrebbe essere allora: siamo sicuri che dentro di noi c'è ancora spazio mentale o non è che per caso ci sentiamo già stracolmi prima di cominciare? Siamo cioè sicuri che ci sia spazio dentro di noi anche solo per pensare di rischiare qualcosa nel nostro approccio intellettuale standard, nell’abbandono anche solo per un attimo della cosiddetta “zona di confort”, ove tutto ci appare stabile e sotto controllo ? Per affrontare la fatica di eliminare le scorie inutili, per selezionare correttamente cosa sì e cosa no, per vedere i cambiamenti, per ristrutturare atteggiamenti e strutture di pensiero, per rivedere situazioni, avvenimenti, modi di affrontare le cose e la gente ? Per riflessioni che contribuiscano -comunque- a farci crescere come persone, a renderci più consapevoli di quali siano le "regole d'ingaggio" con la società, con particolare focus sul mondo del lavoro ? Insomma per migliorarci ? Anche se non ci crederemo, anche se ci sentiamo stufi e con la testa stracolma delle cazzate di tutti e per tutti i generi, lo spazio c’è, eccome se c’è. Siamo pieni di spazio anche se non lo sappiamo, perché basta un attimo alla nostra mente per riconfigurarsi attorno ad un nuovo, più alto livello di consapevolezza. Il motore, come per tante altre cose, è nell’interesse: se c’è, lo spazio si crea magicamente; se invece non c’è, tanti saluti e alla prossima.Su questo e molto altro ci si divertirà. Senza ruoli fissi da interpretare: ognuno si riconosca come facilitatore a sè stesso, e si cominci a fare un pò di allenamento liberandosi da pensieri in loop, alibi, pregiudizi, riflessioni in parcheggio, percorsi e strutture mentali logorati dall'uso, granitiche certezze su cui si continua, pervicacemente e pigramente, a darsi ragione...e in bocca al lupus ! ©emmi (segue)