Ci sembra fuorviante il concetto stesso di ricerca della felicità. Se alla parola “ricerca” viene associato -come peraltro dettato dal comune utilizzo di tale vocabolo- il significato di “un'indagine sistematica per accertare i fatti o principi o per raccogliere informazioni su un argomento” (Wikipedia), si percepisce subito e istintivamente come non sia attraverso un tragitto razionale e organizzato che si possa trovare risposta a un obiettivo dichiaratamente irrazionale e individuale: la “felicità” entra a far parte della nostra psiche per vie che non vengono scoperte e battute da “indagini sistematiche”.
Condizione -senza la quale non è data una discussione in questi termini- sta nell’accettare una certa aura metafisica sull’argomento. Superare la base scientifica di verifica-misurazione dello status fisiologico del corpo attraverso il monitoraggio del maggiore o minore accumulo e rilascio sinaptico di neurotrasmettitori adrenalinici come dopamine e serotonine attraverso varie zone del nostro cervello come amigdala, ipotalamo e gangli frontali… tutto rigorosamente misurato, tutto scientificamente provato negli ultimi anni grazie ai progressi eccezionali della tecnica, ma resta difficile nonché poco credibile accettare che la nostra felicità sia effetto esclusivo di reazioni chimiche a catena. La scienza con le sue misurazioni ci aiuta a spiegare il come, ma la complessità di quel che succede intorno e dentro questa scatola che abbiamo in cima al collo rende molto difficile spiegare il perché ci emozioniamo, e perché manteniamo il ricordo dentro di noi di talune emozioni provate (e di altre invece no).
Come tutti ben sanno, la felicità non ha una stretta relazione causa-effetto con argomenti esclusivamente razionali quali ad esempio il possesso di beni materiali o comunque con l’esercizio di una qualche circoscritta e presunta sovranità sulle cose o –peggio ancora- sulle persone. Non è che –per il solo fatto di essere ricco o famoso o potente, o anche tutte e tre le cose- un individuo si possa definire -felice.
Difficile poi argomentare sui possibili fattori comuni, per una generale condivisione del concetto di felicità: anche se si possono identificare dei comuni denominatori ricorrenti, alla fine ognuno ha la sua visione e attribuisce diverso peso ai vari fattori, trattandosi di argomento intrinsecamente correlato alla sfera emotiva individuale. Andare “alla ricerca della felicità” è, per usare una semplice metafora, come andare a caccia della pentola d’oro alla base dell’arcobaleno: una favola, un posto che non si raggiunge mai perché -ed è la tesi che qui sosteniamo- la felicità non è un luogo ipotetico cui si possa accedere possedendo le giuste coordinate, per cui la ricerca del luogo si risolverebbe nella spasmodica ricerca delle giuste strade da percorrere. Non c’è una strada più giusta o più sbagliata delle altre per raggiungere la felicità, ma c’è LA Strada, il percorso di ognuno di noi: la nostra vita e il significato profondo che noi per primi vogliamo attribuire alle metaforiche strade che percorreremo, alle emozioni che proveremo.
In altre parole, non ci sembra corretto calare sistemi razionali di strutturazione dell’agire con lo scopo di ottenere risultati, se l’obiettivo del nostro agire ha un costrutto talmente individualistico e irrazionale da sfuggire ad ogni possibile classificazione scientifica come il “raggiungimento della felicità”: non è che facendo un certo percorso si raggiunge la felicità e facendone un altro no, perché non esistono coordinate predeterminate ed invece esiste un limite alla nostra individuale capacità di determinazione (cioè alla capacità di indirizzare gli avvenimenti in una certa direzione).
La felicità è un concetto molto complesso, è un composto di differenti provenienze. Può in parte essere figlia anche di avvenimenti organizzati e pianificati razionalmente: pensiamo ad esempio alle grandi performances nello sport, che sono frutto anche di sacrifici personali a volte pesantissimi, ma non sufficienti da soli a garantire l’arrivo della felicità. Più spesso, la felicità arriva da avvenimenti semplici, quasi sempre imperscrutabili da chiunque altro, generalmente –ma non sempre- legati alla cerchia relazionale costituita dalle persone, dai posti e dalle cose che amiamo frequentare (ad esempio un sorriso o un ragionamento spiazzante per maturità di nostro figlio, una chiaccherata disinteressata con un amico, un rapporto sereno con i genitori, con le persone frequentate nel mondo del lavoro). Cosa possiamo fare per aumentare la possibilità di godere di questi momenti ?
Raccogliamo qua e là, con modi e tempi del tutto imprevedibili, brevi ma intensissimi quanto episodici momenti di gioia; spesso non facciamo proprio nulla perché arrivino eppure arrivano, né facciamo alcunchè per scolpirceli nella memoria ma quelli ci restano dentro, diventano parte del nostro vissuto. Poi magari ci danniamo per ricreare le condizioni nelle quali si sono manifestati, senza peraltro raggiungere l’obiettivo: perché ?
Il punto centrale sta nel fatto che è nel percorso che, con il nostro atteggiamento e le nostre predisposizioni, costruiamo i prodromi di una possibile felicità, che spesso arriva non perché la cerchiamo razionalmente, ma piuttosto perché riusciamo a crearne l’humus ideale, le condizioni ottimali, sforzandoci in ogni momento di dare spazio alla migliore “release” di noi stessi (e sappiamo tutti come non sia per nulla facile). Se affrontiamo il nostro percorso il più possibile con atteggiamento positivo, senza per questo cadere nel tranello dell’ingenuo ottimismo ad ogni costo, gettiamo le fondamenta di una vita più serena e costellata di molti momenti di felicità.
In modo quasi irridente per il senso comune, spesso è proprio la ricerca in sé (della felicità) che può generare infelicità, soprattutto se gli obiettivi, l’atteggiamento o gli strumenti di ricerca sono sbagliati o male utilizzati: incaponirsi nel provare a tradurre in qualcosa di razionale e organizzato (cioè il raggiungimento di un obiettivo) qualcosa che invece resta in buona parte ancorato alla sfera irrazionale delle emozioni, oppure avvicinarci ad un determinato argomento con l’atteggiamento sbagliato o con un insufficiente livello di consapevolezza può caricarci di ansie di tutti i generi, prima fra tutte quella –perpetua !- di inseguire un obiettivo irraggiungibile, senza trovare mai piena soddisfazione in ciò che si è e in ciò che si fa mentre lo si fa.
Dobbiamo essere abili, durante il “percorso”, nel creare le condizioni ideali affinchè la felicità si manifesti: con il giusto timing, con il giusto atteggiamento individuale e con adeguata consapevolezza così da generare le migliori prospettive di accadimento di momenti felici.
Carpe diem !







